Hai paura del buio?
Giulia Vettori
C’erano una volta Anna Laura e Antonietta, due bambine di sei e sette anni molto socievoli ed estroverse, che si divertivano tantissimo a giocare con le bambole di pezza che i loro genitori ogni anno, per le feste di Natale, regalavano loro. Ne avevano ormai a decine e non sapevano più dove metterle: nell’armadio, nelle ceste di vimini per la biancheria sporca, sotto il letto, sopra il letto, insomma, praticamente la loro cameretta era stracolma di bambole e di altri giocattoli di vario tipo. Sì, perché Anna Laura e Antonietta erano sorelle e trascorrevano molto del loro tempo libero insieme, a giocare o in giardino, se il tempo era bello, oppure nella loro camera straripante di giochi e aggeggi vari.
Anna Laura, detta però solo Laura, aveva un debole per tutti i tipi di bambole e adorava vestirle, truccarle, spazzolare loro i capelli e, perché no, portarle a spasso in un vecchio passeggino che, un tempo, era appartenuto a sua sorella Antonietta. Quest’ultima si divertiva tantissimo a creare delle scenette immaginarie che avevano come protagoniste, appunto, le bambole, inventando di volta in volta ambientazioni diverse che andavano dal salone di acconciature per signora al ristorante di lusso dove, poiché ascoltavano spesso e volentieri i discorsi da grandi dei genitori, facevano assaggiare alle loro beniamine piatti e ricette assai raffinati. Erano in grado di giocare tutto il pomeriggio, al sicuro nella loro cameretta, visto che di scenette non ce n’era mai abbastanza, ma, come ogni sera, dopo aver cenato, arrivava il momento di andare a letto e né Antonietta né Anna Laura volevano saperne di cambiarsi e di ficcarsi sotto le coperte. Il perché è presto detto: entrambe avevano una gran paura del buio. Eh sì, davvero. E tutte le sere era la stessa storia:
«Ho detto che non ci voglio andare a letto! Voglio stare alzata a giocare con le mie bambole!», piagnucolò Laura dopo che sua madre, esaurita la pazienza, le aveva intimato per l’ultima volta che era ora di dormire.
«Sì, sì! Nemmeno io ho sonno, mamma! Ti prego, facci giocare ancora un po’!»
«Netta, ho detto di no! Avete giocato tutto il pomeriggio, adesso è ora di dormire. Su, non vedete quanti capricci fate per la stanchezza? Coraggio, ubbidite e mettetevi a letto. Io ripasserò fra poco a rimboccarvi le coperte, va bene?»
«Ma uffa! Non è giusto! Voi grandi state alzati quanto volete e nessuno vi obbliga a dormire!», esclamò Laura. Era la più audace delle due e voleva sempre averla vinta.
«Quando sarai più grande, potrai decidere per te stessa anche tu. Ma per adesso è meglio se dai retta a me»
Così dicendo, la mamma uscì dalla stanza e accostò la porta; le due bambine, come ogni sera, rimasero da sole nei loro lettini, al buio. Entrambe, però, per conforto, si portavano sempre con loro una o due bambole, così, per compagnia. Ma il silenzio durò ben poco:
«Pssss, ehi, Netta! Mi senti? Io non voglio dormire! Ho troppa paura!», sussurrò Laura rivolta al lettino dove c’era la sorella.
«A chi lo dici! Ma non possiamo fare confusione sennò la mamma ci sgrida!»
«Già. E comunque..»
«Ancora a chiacchiera voi due, eh? Siete proprio due bambine disubbidienti. Cosa vi ho detto prima?», disse la mamma con le mani sui fianchi. Era appena entrata silenziosamente nella stanza e sapeva benissimo che le figlie non si erano affatto addormentate.
«Ehm, sì, mamma, che è ora di dormire..», risposero quasi all’unisono le due birichine.
«Infatti. Ma non mi sembra che vi stiate sforzando molto. O mi sbaglio?», disse la donna mentre rimboccava con dolcezza le coperte dei due lettini. «Bene. Adesso vado. Buon sonno e sogni d’oro..». Dopo aver dato un bacino sulla fronte a ciascuna, la donna uscì sorridendo dalla stanza e chiuse la porta dietro di sé. Adesso sì che non c’era più niente da fare! Anche la mamma se n’era andata lasciandole sole solette lì, al buio, con chissà cosa – bambole a parte – a far loro compagnia. «Laura..?», bisbigliò dopo poco la sorella.
«Che c’è, Netta?»
«Stai dormendo?»
«No, io non voglio dormire. Ho paura. Lo sai!»
«Già, anch’io. Ma.. che possiamo fare?», chiese Netta con una vocina supplice. In effetti, se anche voi aveste visto quello che vedevano ogni sera le due sorelline, non credo che sareste state tanto entusiasti: nel buio ostile della cameretta gli oggetti, che di giorno erano solo oggetti, assumevano
magicamente forme strane e misteriose. Per esempio, l’attaccapanni, dove erano appesi cappellini vari e altra roba da vestire, diventava all’improvviso uno spaventoso mostro dai mille tentacoli, pronto a ghermire chiunque l’avesse fissato troppo a lungo. Ma la cosa più paurosa erano le ombre: lunghe e sottili, nascevano dagli angoli più bui della stanza e diventavano via via sempre più deformi e inquietanti, fino ad assumere figure strane e terribili.
Ovviamente, tutto questo era dovuto alla fervida immaginazione delle due piccine, ma si sa, il buio gioca spesso brutti scherzi.. A chi non è mai successo di non provare un brivido involontario entrando in una stanza buia, anche se sappiamo benissimo com’è fatta e cosa contiene?
Però, mentre le due sorelline erano scosse dai soliti tremiti di paura che ogni notte le affliggevano inesorabilmente, accadde qualcosa di veramente strano: le bambole che si erano portate con loro nei lettini a un tratto si animarono e cominciarono a parlare come fossero persone in carne e ossa:
«Ma insomma», prese a dire una bambola dai lunghi e folti boccoli color oro, «vi sembra questa l’ora di mettervi a discutere?»
«Chi.. chi ha parlato? Sei stata veramente tu, Sonia?», chiese Laura sbigottita, rivolgendosi alla bambola in questione.
«Certo! E chi sennò?»
Le due bambine, anche se era buio, cercarono l’una gli occhi dell’altra; non sapevano come reagire, ma si sa, i bambini sono curiosi per natura e non si spaventano facilmente.
«Ma.. ma come? Tu.. anche tu parli?», domandò Netta esitante.
«Certo! Tutte noi parliamo, o forse non ci senti?», saltò su una delle bambole che Netta aveva con sé.
A questo punto urgeva una spiegazione; Laura, che sembrava più incuriosita che spaventata da come si erano messe le cose, si mise a sedere sul letto e cominciò a parlare con le bambole:
«Ma perché.. cioè, com’è possibile che parliate? Voi siete solo bambole di pezza, oggetti che..»
«Ma sentila!», esclamò una graziosissima bambola dai capelli neri raccolti in due grosse trecce, «E tu che ne sai di noi? Ci usate solo per giocare e per passare il tempo, ma non vi chiedete mai cosa vogliamo NOI o di cosa abbiamo bisogno!»
A questo punto anche Netta, che era un po’ più timida, decise di intervenire: «Be’, ma non mi sembra giusto che ci accusiate così! Non ci avete mai chiesto niente fino ad ora, o mi sbaglio?»
«E’ vero, ma adesso dobbiamo per forza!», intervenne Sonia, la bambola dai boccoli d’oro.
«Cioè? Che vuoi dire?», chiese Laura aggrottando le sopracciglia.
«Voglio dire che adesso ci siamo stancate! Vogliamo dormire noi, di notte!»
«Sì, giusto, brava, ben detto!», dissero in coro tutte le altre bambole, come per dare man forte alla loro portavoce.
Le due sorelline erano a dir poco sbalordite dall’affermazione della bambola riccioluta: e così anche loro dormivano e si svegliavano esattamente come gli esseri umani! Ed erano anche molto loquaci.. Che roba, davvero non ci avevano mai pensato. Avevano sempre e solo tenuto conto delle loro esigenze e dei loro capricci; mai avrebbero creduto che anche le bambole di pezza avessero, come dire, dei sentimenti.
«Ma poi», riprese la bambola dalle trecce nere, «se avete così tanta paura del buio, perché non accendete le luci? Ne avete una su ciascun comodino!»
Le due bambine non risposero subito; rifletterono un momento, poi Netta, con una sincerità disarmante, confessò: «E’ che io, quando sono nel mio letto, dalla paura che ho non riesco più a muovermi! Figurarsi, poi, mettere un braccio fuori dalla coperte..! E se qualcosa me lo afferra?»
Laura divenne rossa paonazza, dato che anche per lei era la stessa cosa. Temeva che adesso le bambole le avrebbero prese in giro, che avrebbero riso di loro. E invece non accadde niente del genere, anzi.
«Ok. A questo punto direi che urge il nostro aiuto», disse risoluta Sonia scuotendo leggermente la testa. Poi, rivolta anche alle altre bambole, proseguì dicendo: «Che ne dite, ragazze? Vogliamo mostrare a queste due fifone che non c’è nulla di cui aver paura?»
In un batti baleno tutte le bambole balzarono giù dai lettini, ma prima una di loro accese le due piccole abat-jour: all’improvviso il buio si squarciò e una tenue e soffusa luce inondò la stanza. Laura e Netta avevano gli occhi spalancati e cominciava a piacergli questo nuovo gioco; di colpo videro come le loro più profonde paure, in realtà, non fossero altro che un qualcosa creato dalla loro stessa mente, o immaginazione, che dir si voglia.
«Ecco!», disse la bambola dalle trecce nere, che poi si chiamava Margherita, «Visto? Questo qui di cui avete così tanta paura è solo l’attaccapanni! Anche se è buio non si trasforma in niente di terrificante, anzi, lui rimane così com’è, con quello che voi ci appendete durante il giorno!»
«Già, proprio così!», esclamò l’attaccapanni. A Netta e Laura si raddoppiò il viso per la sorpresa. Ma che razza di magia era questa?
«Ma .. ma anche tu.. parli!», esclamò Laura con gli occhi sgranati, indicandolo con il dito indice.
«Certo! E sapete cosa vi dico? Che sono molto stanco di reggere le vostre cose giorno e notte. Ormai mi fanno male le braccia! Per fortuna che ne ho tante...»
«E qui, in questi angoli», lo interruppe Sonia altrimenti sarebbe andato avanti a lamentarsi per delle ore, «non c’è proprio nulla di strano! Logico, al buio, siccome non vediamo un bel niente, la nostra immaginazione galoppa e ci facciamo le idee più strane, ma posso assicurarvi che gli angoli, al buio, sono esattamente come di giorno, cioè.. angoli! Non vi si nasconde null’altro se non le creazioni della vostra fantasia»
Le due sorelline ascoltavano ammaliate le spiegazioni delle bambole; più di ogni altra cosa, non potevano fare a meno di fissare incantate l’attaccapanni: adesso non sembrava più così spaventoso, anzi, risultava quasi simpatico! Pian piano, cominciavano ad avere meno paura del buio. Certo, non si poteva pretendere di “guarire” da un momento all’altro, però erano di sicuro sulla buona strada.
«Allora?», chiese dopo un po’ Sonia, con le braccia conserte e un piedino che pareva tenesse il tempo di chissà quale melodia, «Vi abbiamo convinto?»
«Ci farete dormire adesso? Sapete, giocare con voi tutto il pomeriggio è, come dire, abbastanza faticoso e quindi abbiamo tutte bisogno di riposare la notte..», aggiunse Margherita.
Le due bambine si dettero una rapida occhiata, poi Laura, un tantino impacciata, disse: «Beh, credo di sì. Ma c’è solo un modo per scoprirlo..». E si infilò fulminea sotto le coperte. Netta la imitò e anche le bambole, dopo aver tirato un respiro di sollievo, tornarono in fretta sotto le soffici coltri, pronte a godersi una meritata notte di riposo.
«Ragazze? Adesso spengo le luci!», disse Sonia, e di colpo la stanza ripiombò nell’oscurità. Ma questa volta le due sorelle non si misero a piagnucolare, anzi, erano ben felici di riposare, finalmente, in santa pace: adesso sapevano che l’attaccapanni, un tipo veramente simpatico, non nutriva nessuna brutta intenzione verso di loro e nei temuti angoli bui non si nascondeva niente di strano. Il sonno, ora, non era più cosa da rifuggire, al contrario: era diventato, grazie al provvidenziale aiuto delle bambole, un morbido e confortante abbraccio a cui abbandonarsi ogni singola notte della loro vita.